giovedì 29 marzo 2012

Facilitatore linguistico, questo sconosciuto

Vi ho raccontato che faccio la facilitatrice linguistica e, in pratica, insegno italiano a stranieri. 
Insegno, ma non sono un'insegnante. O meglio, certo che lo sono, però il facilitatore linguistico ha compiti e competenze peculiari e siccome quando dico che lavoro faccio vedo sempre facce interrogative e occhi "sospettosi", voglio raccontarvi un po' meglio di cosa si tratta.

La figura del facilitatore linguistico non è mai citata a livello normativo, tuttavia se ne riconosce e sancisce il ruolo (“…possono essere adottati specifici interventi individualizzati o per gruppi di alunni per facilitare l’apprendimento della lingua italiana…” DPR 394/99 - art. 45 – comma 4).

Non esiste una definizione univoca, nè albi o altri documenti che descrivano chiaramente questa figura professionale, che tuttavia diventa ogni anno più importante a livello educativo, fuori e dentro la scuola. 

Proviamo a tracciare un identikit del facilitatore linguistico, partendo dal suo ruolo:
il facilitatore linguistico di occupa di facilitare l'apprendimento della seconda lingua per bambini, ragazzi o adulti stranieri. Il facilitatore linguistico si occupa sia della primissima comunicazione, sia della lingua definita "per lo studio", il suo lavoro non si esaurisce dunque quando l'apprendente ha acquisito gli strumenti essenziali per comunicare in autonomia.

Le competenze specifiche del facilitatore linguistico sono dunque:
- competenze glottodidattiche;
- conoscenze psicologiche, pedagogiche e didattiche; 
- preparazione antropologica e sociologica per le tematiche relative all’immigrazione.

Luoghi comuni, ovvero le cose che mi domande che mi sento fare più spesso...
"Ma quindi, che lingue parli tu?" "E in che lingua parli in classe?" "Come fai se non parli cinese/arabo/rumeno ecc.?" 
Il facilitatore linguistico non ha necessariamente competenze linguistiche nelle lingue d’origine degli alunni e si esprime in lingua italiana, inoltre solitamente i laboratori linguistici sono costituiti da gruppi eterogenei per area geografica di provenienza e lingua d’origine. 
Sinceramente se dovessi conoscere tutte le lingue materne degli alunni che ho avuto in questi anni sarei una super-poliglotta ^_^

Rimane sempre la domanda legittima: "E come si fa?" Ci sono tecniche e metodologie specifiche, di qualcuna vi parlerò prossimamente.

4 commenti:

  1. Mia cara, la tua figura è una specie di Santo Graal per gli insegnanti di oggi. Noi, nella nostra sede, ne avremmo fortemente bisogno (arrivo di stranieri in ogni periodo dell'anno e in zone a forte immigrazione causa Malpensa) ma speso il Coune ci risponde "picche" perchè non ci sono fondi.
    Hai ragione, non serve sapere le lingue di origine, ma saperli immergere in un mondo dai suoni incomprensibili per i quali serve molto di più della semplice traduzione.
    Io sospiro di sollievo quando accolgo un alunno francofono o ispanico, perchè almeno so che posso adottare io il suo canale linguistico, almeno all'inizio per le prime comunicazioni, ma sempre più spesso sono bloccata da muri di madrelingua araba, sinti, cinese....verso i quali servirebbe la TUA preparazione.
    Vogliamo poi parlare del mediatore culturale per accogliere genitori che conoscono la lingua ancor meno dei loro pargoli?

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    1. Prossimamente ci sarà proprio un post sul mediatore linguistico-culturale!

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  2. sembra proprio un bel lavoro... :)
    deve essere affascinante essere costantemente a contatto con persone che vengono da posti diversi e sapere di essere loro utile nell'affrontare una cosa così complicata e basilare per la vita quotidiana nel nostro paese...

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lunga è la foglia, stretta è la via...
dite la vostra, che ho detto la mia!