mercoledì 10 settembre 2014

La parola al razzismo

Tante volte ho pensato di partecipare al blogstorming di GenitoriCrescono. Altrettante volte ero troppo occupata o troppo pigra. O tutte e due.

Oggi no. Non voglio e non posso lasciar cadere la palla, perché si parla di razzismo e intorno ai razzismi e all'antirazzismo ci giro da anni, per studio, lavoro, interesse personale.


C'è una cosa che mi è chiara: le parole sono pietre.
Non sono di per sé cattive, ma hanno un peso.
Non sono neutre, ma hanno sfumature e significati precisi.

Il razzismo si nutre e si sviluppa (anche) attraverso le parole,  ma la portata della parole è sottovalutata, a favore degli episodi, specie se eclatanti.
Io però sono pronta a scommettere che chi è razzista nei fatti, lo è anche a parole. Al contrario ci sono persone che parlano la lingua del razzismo e la insegnano ai propri figli, senza mai rendersi protagonisti di fatti particolari. L'attenzione al linguaggio quindi non è un di più, ma un passo fondamentale nella lotta ai razzismi.

Dicevamo, le parole sono pietre e possono far male. Fanno male.

Fanno male quando le usiamo a sproposito, ovvero quando il loro significato contraddice quello che stiamo descrivendo.
Perché si dice "immigrati di seconda generazione" per parlare di ragazzi nati e cresciuti in Italia da genitori immigrati? Se sono nati in Italia, da dove sono immigrati? Lo so, è un'espressione molto utilizzata, ma contribuisce a scavare quell'invisibile quanto profondo solco tra noi e loro.
Perché ci risentiamo se un Messicano ci fa notare di non essere sudamericano ma centro-americano? Già li sento quelli che mormorano: "Suvvia, cosa cambia? La zona è quella." Ah sì? Cosa cambia allora se dico che tu, Milanese di Milano sei scandinavo? Suvvia, la zona è quella. (Io personalmente mi risento anche quando mi dicono "ah, sei di Sondrio? Bello il Trentino")

Le parole che usiamo veicolano, oltre al significato letterale, atteggiamenti e sentimenti condivisi. Alcune parole di uso comune, tra le gente e sui media, hanno assunto un valore dispregiativo che è difficile scindere dal significato etimologico. Si va dal classico "extra-comunitario" al gettonatissimo "clandestino", ad esempio.

E poi ci sono quelle parole che vogliono dire tutto e niente, tutto e l'opposto di tutto. Sono le classiche parole di cui i razzisti si riempiono la bocca per poter ribattere "Ma come, razzista io?".
Sono le parole più subdole, perché apparentemente positive. Due su tutte nella mia personale hit-parade: tolleranza e integrazione.

Ma veniamo alle obiezioni che mi vengono immancabilmente poste quando parlo di questi argomenti:

"E ma come sei pignola, dai. Una parola vale l'altra, l'importante è capire quel che si vuole intendere."  
Eh no, mi permetto di dissentire. Una parola non vale l'altra, ogni parola è diversa dalle altre. Ciascuna veicola dei significati letterali e non, ciascuna si porta dietro degli usi e delle accezioni ben precisi. Abbiamo un vocabolario tanto vasto e variegato che non posso credere non esistano alternative (se si vogliono cercare) al linguaggio razzista. 

"Eh be' ma allora che facciamo? Ci cuciamo la bocca e smettiamo di parlare?"
Certo che no, non si tratta di smettere di parlare, ma di riflettere sulle parole che scegliamo.

"Sì, tutto bello e tutto giusto ma... Come si fa?"
Non c'è una ricetta, né un libro nero delle parole da non utilizzare. Negli anni io ho elaborato la mia personale strategia:

- verifico il significato letterale delle parole: se immigrata è una persona che ha lasciato il proprio paese d'origine, non chiamerò così un ragazzo nato e cresciuto in italia. Punto.

- rifletto sui sentimenti che i termini veicolano, se mi accorgo che una parola viene comunemente utilizzata in senso dispregiativo preferisco rinunciare ad usarla o, se non è possibile, cerco di contestualizzarne l'uso.

Facendo questo esercizio ho trovato parole da bollino rosso che cerco di evitare come la peste. Per esempio, difficilmente sentirete uscire dalla mia bocca "clandestino" e "tolleranza".
Altre parole non mi convincono del tutto, per questo se non posso evitare di usarle mi assicuro che il mio interlocutore capisca esattamente cosa intendo, due di queste parole birichine sono "integrazione" e "intercultura".


Con questo post partecipo al blogstorming, perché dobbiamo gridarlo forte che noi #siamomoltidipiù.







4 commenti:

  1. Io quando sento dire "extracomunitario" ogni tanto penso agli svizzeri. O ai norvegesi, agli americani degli USA, ai giapponesi, agli australiani... Ma sai, la Svizzera per me è molto vicina, Como è sul confine! Chi mai direbbe che uno svizzero è un "extracomunitario"? Anzi, per loro sono gli italiani gli immigrati (o i frontalieri) che vanno a rubare il lavoro alla popolazione locale!

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    1. P.S. Se sei di Sondrio sei vicina alla Svizzera anche tu... io sono di Milano (non città, un paesotto al confine), ma i miei genitori stanno vicino a Como. Il mio ragazzo è di Novi Ligure, che non sta in Liguria ma in Piemonte, e non c'è il mare come la gente crede... Se vogliamo parlare di precisazioni sul luogo di provenienza... O piuttosto vogliamo parlare di ignoranza e approssimazione? Io in geografia sono sempre stata negata, quindi so di cosa parlo! :D

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  2. Leggendo questo tuo post mi sono ritornate in mente due cose:
    - un detto che ripeteva spesso mio papà: "Le parole non hanno ossa ma le spezzano"... ossia si deve pensare bene prima di pronunciarle perché possono ferire profondamente.
    - un compito assegnato al nipotino (allora seconda elementare) dove veniva richiesto di precisare quanti bambini stranieri c'erano nella sua classe e lui candidamente aveva scritto nessuno, perché lui non aveva notato nessun bambino diverso (su 23 bambini 15 etnie differenti)
    Tante serene e gioiose giornate a tutti

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  3. Complimenti per il bellissimo post, mi trovi pienamente d'accordo sull'uso delle parole.
    Credo che un altro nemico da temere nella lotta contro il razzismo sia il buonismo. Si fa presto a fare i moralisti, a squalificare gli stadi per "cori antiterritoriali"...ma non ci si rende conto che il razzismo si insinua anche in direzioni che non consideriamo. Perché il razzismo deve essere solo quello dei bianchi nei confronti dei neri o quello del Nord nei confronti del Sud?
    Stiamo attenti, perché la questione è più complessa di come la fanno apparire...

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lunga è la foglia, stretta è la via...
dite la vostra, che ho detto la mia!